Crisi demografica: l’impatto sulle università italiane

By: Angelo Rossi01 comments

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Il rinoceronte grigio: un rischio prevedibile ma ignorato

Leggendo questo titolo di paragrafo starete pensando che non c’entra nulla con quanto detto nel titolo principale, invece è una metafora simile a quella del cigno nero. La differenza tra le due metafore è che quest’ultima sta a significare un evento sfavorevole e imprevedibile, invece il rinoceronte grigio è sempre un evento infelice, ma è in qualche modo prevedibile. La scelta dei due animali non è casuale perché il cigno muovendosi con grazia e leggerezza non fa sentire la sua presenza, al contrario il rinoceronte essendo pesante fa avvertire il pericolo che potrebbe arrivare.

Con l’Osservatorio di Talents Venture avevamo già lanciato un allarme il cui rischio era prevedibile. Se non si fossero adottate delle misure a sostegno del diritto allo studio e della didattica a distanza, le immatricolazioni si sarebbero potute ridurre dell’11%. Il MIUR, invece, stimava il 20%. Grazie alle misure introdotte dal Ministero dell’Università questo pericolo è stato scongiurato.

Tuttavia, le sfide per le Università non sono finite e la prossima minaccia è già dietro l’angolo. Tra la didattica e distanza e di un bilancio che risentirà sicuramente della crisi attuale, d’altronde le azioni di rimedio poste dal Governo non possono certo durare all’infinito (ne avevamo già parlato nota su “Gli impatti dell’estensione della No-Tax area sugli studenti beneficiari e sui bilanci degli atenei”), un’ulteriore pericolo è in agguato. Stiamo parlando della crisi demografica e della conseguente riduzione di popolazione nell’età giovanile.

 

Cos’è successo negli ultimi 10 anni?

Negli ultimi 10 anni il numero di immatricolati è aumentato, al contrario del numero delle nascite che ha portato a una crisi demografica. Dopo il punto più basso (269.263) toccato nel 2013/2014, il numero di matricole è sempre cresciuto fino ad essere balzato a quota 309.158 nel 2019/2020. Tuttavia, la quota di immatricolati, rispetto al numero di diplomati, è rimasta più o meno costante nel tempo e vicina al 61%. La quota di diplomati invece, è aumentata di 2 punti percentuali, passando dal 22,39% al 24,65%.

 

Cosa succederà in futuro?

L’Istat stima che nel 2040 la popolazione giovanile sarà circa il 13% in meno di quella del 2020, facendo aumentare la crisi demografica. Se ad oggi ogni 100 giovani ci sono 115 67enni, nel 2040 questo rapporto potrebbe salire a 184 67enni ogni 100 giovani.

Per comprendere gli impatti sul mondo universitario si sono ipotizzati tre scenari in base all’andamento dei tassi di immatricolazione e di diplomati. I tre scenari sono:

  • Scenario base, dove gli immatricolati rimangono più o meno costanti fino al 2028/2029 per poi iniziare a diminuire drasticamente arrivando a toccare il picco minimo nel 2038. Nel prossimo ventennio, se si tiene come riferimento l’anno accademico 2019/2020, potrebbero perdersi cumulativamente circa 260 mila immatricolati;
  • Scenario di crescita lieve, dove nell’anno accademico 2033/2034 gli immatricolati sarebbero circa 120 mila in più. In altre parole, in questo periodo, considerato il numero mediano di immatricolati agli atenei italiani, servirebbero 8 nuovi atenei per assorbire le nuove richieste. Dall’anno successivo si assisterebbe poi ad una forte decrescita degli immatricolati e nel 2040/41 il numero di immatricolati potrebbe essere il 5% in meno dell’anno 2019/2020;
  • Scenario di crescita forte, dove potrebbero guadagnarsi cumulativamente circa 960 mila immatricolati, con una media di circa 46 mila immatricolati in più ogni anno ed un picco massimo di quasi 68 mila immatricolati nel 2040/2041. Potrebbero servire fino a 29 nuovi atenei per supportare la crescente domanda di istruzione.

Sono anche intervenute

“Non è un caso che sette tra i migliori atenei italiani abbiano deciso di consolidare un percorso di promozione internazionale del nostro sistema universitario in un’area geopolitica cruciale come l’Africa, mi riferisco all’iniziativa Italian Higher Education with Africa. Un progetto che promuove l’Italia come una porta d’accesso a livello internazionale”

Professoressa Donatella Sciuto, prorettore vicario del Politecnico di Milano

“Serve lavorare sull’aggiornamento dei corsi di laurea, per evitare di rimanere ingabbiati nelle tabelle ministeriali. Le classificazioni delle classi di laurea necessitano di una revisione per rispondere con altrettanta velocità all’esigenze del mercato del lavoro. Quanto scritto nel Recovery Plan sembra andare nella giusta direzione, servirà lavorare bene sull’implementazione dei progetti affinché non rimangano solamente dei buoni propositi.”

Professoressa Marina Brambilla, Prorettore Delegato ai servizi per la didattica e agli studenti dell’Università degli Studi di Milano.

“Relativamente alla crisi demografica del Sud purtroppo i dati non ci dicono nulla di nuovo. Nei prossimi andremo a scontare ancora di più gli effetti delle migrazioni avvenute da questi territori verso il Nord del mondo. Il vero problema però non è rappresentato dai nostri figli e nipoti che si sono trasferiti altrove ma dal fatto che, in passato, non si è stati in grado di attrarre altre realtà a conoscere i nostri atenei. Come UniCal stiamo lavorando moltissimo sull’internazionalizzazione e il prossimo anno lanceremo 11 nuovi corsi di laurea magistrale in lingua inglese. Uno dei target identificati per questi corsi sono i figli degli emigrati calabresi in Canada che vogliono riscoprire le proprie origini.”

Professoressa Angela Costabile, Delegata all’orientamento in ingresso e al counselling psicologico dell’Università della Calabria.

Le risorse del Recovery plan sono indispensabili

Per sconfiggere la crisi demografica è necessario investire sui giovani e sull’incremento delle nascite. Non bisogna, quindi, perdere tempo e usufruire delle risorse del Recovery plan, che sono indispensabili per la ripartenza e la crescita del nostro Paese. Le Università dovranno lavorare su due fronti: dal lato della domanda e dal lato dell’offerta. Per quanto riguarda il primo aspetto si può lavorare per aumentare i tassi di passaggio immaginando attività di orientamento innovativo. Oppure attrarre nuove tipologie di immatricolati: ad esempio nella fascia di popolazione più adulta, nella prospettiva di lifelong learning o di studenti stranieri per sfruttare a pieno il fenomeno dell’internazionalizzazione e il boom demografico della vicina Africa.

Dal lato dell’offerta, invece, c’è da domandarsi come utilizzare efficacemente il Recovery Plan per potenziare gli asset tangibili ed intangibili. Servono investimenti per ammodernare le infrastrutture come aule e gli spazi di studio. Inoltre, è necessario innovare la didattica al fine di accogliere più studenti a parità di spazi disponibili, magari alleandosi con istituzioni formative informali come i bootcamps.

Sprecare le risorse del Recovery plan vorrebbe dire affossare definitivamente il nostro Paese. Se si correggono gli errori sull’Università, ma più in generale sull’istruzione, si risolveranno a catena tutti i problemi generando effetti positivi in tutti gli ambiti. Le Università che soffriranno maggiormente questa crisi saranno quelle del Sud, a causa del basso tasso di immatricolazione e delle migrazioni avvenute in passato verso le regioni del Nord.

Leggi lo studio completo

Che impatti avrà la crisi demografica sull’università italiana?

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    17 Febbraio 2021

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