1,6 milioni di posti di lavoro qualificati separano l’Italia dall’Europa

1,6 milioni di posti di lavoro qualificati separano l’Italia dall’Europa

La domanda che ha guidato l’analisi è tanto semplice quanto scomoda: di che tipo di lavoro ha davvero bisogno l’Italia? Da un lato, mancano 1,6 milioni di professionisti qualificati per allinearsi alla media europea. Dall’altro, abbiamo 1,4 milioni di giovani NEET e imprese che faticano a trovare i profili giusti. Come si tengono insieme questi numeri? E soprattutto: chi si occupa di creare lavoro qualificato in Italia?

1,6 milioni di professionisti qualificati ci separano dall’Europa

Per raggiungere la media europea nell’occupazione qualificata, l’Italia dovrebbe creare 1,6 milioni di posti di lavoro ad alto valore aggiunto. Il divario è netto nelle professioni intellettuali e scientifiche (−1,67 milioni) e dirigenziali (−338 mila), solo in parte compensato da un surplus di tecnici intermedi (+411 mila). In sostanza, il nostro mercato premia figure meno specializzate, mentre gli altri Paesi spingono su competenze avanzate. Tutti i dati di dettaglio li trovate all’interno di questa newsletter.

Un problema a più facce

A fronte di questa carenza, abbiamo oltre un milione di giovani che non studiano né lavorano, e ogni mese migliaia di aziende denunciano difficoltà nel trovare profili adeguati. È davvero un problema di offerta, o è il sistema a non funzionare? In questa introduzione mi concentro su due aspetti: il potenziale dei NEET e le difficoltà di reperimento dichiarate dalle imprese.

Il paradosso dei NEET

In Italia ci sono 1,4 milioni di NEET tra i 15 e i 29 anni. Il 66% (circa 885.000) vorrebbe lavorare, ma solo il 12,5% è laureato. In teoria, questa popolazione potrebbe quasi colmare il divario con l’Europa. In pratica, solo una parte minima (circa 100.000) ha un titolo di studio che li rende adatti ai ruoli altamente specializzati di cui il nostro mercato ha bisogno.

Skills gap e mismatch: cosa dice Unioncamere

A settembre, Unioncamere ha segnalato 259.000 assunzioni difficili da realizzare (45,6% del totale). Le cause principali?

  • Mancanza di candidati adeguati (skills gap): 29,2% (circa 75mila persone)
  • Preparazione inadeguata (skills mismatch): 12,9% (circa 33mila persone)

Proiettando questi numeri su base annua, si arriva a circa 1,3 milioni di figure mancanti: una cifra che, almeno sulla carta, potrebbe colmare il nostro divario europeo. Ma la realtà è più complessa.

I tre nodi critici del mercato del lavoro italiano

Il sistema di istruzione ha certamente molte responsabilità: una parte del gap occupazionale potrebbe essere colmata con un più alto livello di istruzione e un orientamento mirato alle esigenze del mercato. Ma se prendiamo per realistici i dati di Unioncamere e le nostre proiezioni, il problema va oltre: ciò che accade nel mercato del lavoro è più complesso della narrazione comune. Analizzandolo da vicino, emergono almeno tre temi chiave.

1. La qualità dell’offerta di lavoro

Se è vero che le imprese faticano a trovare candidati qualificati, bisogna anche guardare cosa offrono in termini di stipendi, benefit, flessibilità, formazione e contesto lavorativo. A questo si aggiunge un ostacolo strutturale: l’elevato costo del lavoro, che trasforma gli aumenti salariali in contributi INPS e IRPEF, senza che la qualità percepita dei servizi dello Stato aumenti necessariamente ma anzi, alimentando degli sprechi che alimentano improduttività. In questo contesto, anche le imprese più virtuose faticano ad attrarre talenti.

2. Più macellai che database administrator

Un’analisi del 9 settembre su LinkedIn mostra dati in controtendenza rispetto alla narrazione:

  • Più annunci per addetti alla macelleria (67) e salumeria (42) che per database administrator (22), figura chiave nella costruzione e gestione dell’infrastruttura aziendale ai tempi dell’AI
  • Più richieste per autisti (200+) e receptionist (200+) che per data analyst (100+)

Al netto di effetti di stagionalità (che controlleremo nei prossimi mesi), LinkedIn, piattaforma di riferimento per i profili qualificati, dovrebbe riflettere la reale domanda di competenze avanzate. Se così non accade, forse il nostro sistema produttivo non cerca davvero ciò che dice di volere.

3. Chi crea i nuovi posti di lavoro?

Il terzo tema è direttamente conseguente e sta diventando per me una domanda esistenziale: chi sta creando davvero i nuovi lavori ad alto valore aggiunto? Per colmare il gap, bisogna creare le condizioni per la nascita di nuovi ruoli e nuove imprese. Abbiamo bisogno di nuove imprese innovative (e non per forza di start-up à la Silicon Valley) che possano nascere da spin off di imprese o da giovani laureati che vogliano mettersi in gioco o da grandi gruppi industriali che possano gemmare nuove realtà. Abbiamo bisogno di più creatori di lavoro, non solo di più persone da collocare.

Il lavoro qualificato come infrastruttura sociale

Dalla qualità del mercato del lavoro passa il progresso economico, sociale e tecnologico del Paese. Abbiamo bisogno di aziende solide, competenze avanzate e lavori dignitosi e ben retribuiti per restare competitivi.

Ma soprattutto, serve un cambio di ambizione.

Dobbiamo smettere di vederci come (sub)fornitori, bravi a produrre componenti o farci scegliere come meta di vacanze.

Dobbiamo tornare ad essere i committenti del mondo: quelli che immaginano, progettano, guidano l’innovazione e decidono le regole del gioco.

Solo così l’Italia potrà evitare di diventare un Paese di seconda fascia e tornare a essere protagonista nello scenario globale.

La nostra ultima analisi

“Colmare la mancanza di 1,6 milioni di professionisti qualificati: obiettivo realizzabile o missione impossibile?” è la nostra ultima analisi che mostra come l’Italia registra una quota di occupati nelle posizioni più altamente qualificate al di sotto della media europea, soprattutto nei settori ICT e sanità.

Domanda di ricerca
In quali ambiti specifici si concentra questa carenza di impiegati nelle professioni specialistiche e tecniche in Italia rispetto all’Unione Europea (UE)?

Perimetro di analisi
L’analisi si basa sui dati Eurostat sul numero di occupati per famiglie professionali. In particolare, ci siamo concentrati sulle tre categorie di professionisti più qualificati:

  1. Dirigenti (ISCO 1), ovvero i professionisti con le responsabilità più strategiche all’interno organizzazioni
  2. Professioni intellettuali e scientifiche (ISCO 2), ovvero tutti coloro che applicano competenze scientifiche e specialistiche e producono nuova conoscenza
  3. Professioni tecniche intermedie (ISCO 3), con una componente più operativa rispetto alle altre due categorie, ma comunque in possesso di titoli di studio post-secondari

A questi dati abbiamo affiancato le informazioni di Revelio Labs, che raccolgono annunci di lavoro per le stesse categorie professionali.

Le principali prove a disposizione
Quando si parla di professionisti mancanti, non si tratta di un blocco uniforme. Serve un’analisi più granulare per individuare con maggiore precisione quali famiglie professionali contribuiscono maggiormente al divario. Per questo abbiamo condotto uno studio dei dati Eurostat volto a comprendere in quali ambiti specifici l’Italia registra un numero di occupati inferiore rispetto alla media europea, concentrandoci sulle categorie di occupati più specializzati, vale a dire: dirigenti, professioni tecniche intermedie (technicians) e professioni intellettuali e scientifiche (professionals).

Se l’Italia volesse allinearsi alla media europea, sarebbe necessario creare circa 1,6 milioni di posti di lavoro qualificati. Questo fabbisogno deriva principalmente dalla carenza di professioni intellettuali e scientifiche (−1,67 milioni) e dirigenziali (−338 mila), solo in parte compensata dall’eccesso di tecnici intermedi, una categoria in cui il nostro Paese conta proporzionalmente più occupati rispetto all’Europa (+411 mila). In altre parole, anche all’interno di un mercato del lavoro qualificato, in Italia si prediligono le figure meno qualificate.

Grafico a barre con colori turchese e arancione con titolo "In Italia mancano 1,6 milioni di professionisti qualificati" e sottotitolo "Ripartizione per famiglia professionale dei professionisti che l’Italia dovrebbe acquisire per allinearsi alla media UE, per tipologia di professioni". Il grafico mostra che mancano 1.669.000 professionisti intellettuali e scientifici e 338.000 dirigenti, mentre risultano in eccesso 411.000 professionisti tecnici. Il saldo totale è negativo, con un deficit di 1.596.000 professionisti qualificati rispetto alla media UE.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  • Essendo l’area in cui l’Italia presenta il divario più significativo rispetto all’Europa, abbiamo deciso di concentrarci sulla famiglia delle professioni intellettuali e scientifiche e approfondire i risultati attraverso un’analisi comparativa. In particolare, considerando il peso di questa categoria sul totale degli occupati, si osserva uno scarto di 7 punti percentuali: nell’Unione Europea queste professioni rappresentano di media il 23% della forza lavoro, mentre in Italia solo il 16%. Anche in questo caso, però, il divario non è uniforme. In termini assoluti, le maggiori carenze si registrano nelle scienze commerciali e dell’amministrazione (−523 mila professionisti rispetto alla media UE), nell’ICT (−394 mila) e nella sanità (−377 mila). Seguono le scienze e l’ingegneria (−233 mila) e l’area legale e socio-culturale (−169 mila). L’unica eccezione riguarda gli specialisti dell’educazione, per i quali l’Italia supera la media europea. Questi squilibri minano la capacità produttiva del nostro Paese e quella di generare innovazione, soprattutto in ambito digitale e tecnologico.

Grafico a barre orizzontali di colore turchese con titolo "I comparti commerciali, ICT e sanitario sono quelli in cui l’Italia ha le maggiori carenze di professionisti" e sottotitolo "Ripartizione per settore di impiego dei quasi 1,7 milioni di professionisti mancanti in Italia nella famiglia delle professioni intellettuali e scientifiche". Il grafico mostra i seguenti fabbisogni: 523.000 specialisti delle scienze commerciali e dell’amministrazione, 394.000 specialisti del settore ICT, 377.000 specialisti della salute, 233.000 specialisti in scienze e ingegneria e 169.000 specialisti in scienze giuridiche, sociali e culturali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  • Se invece si osserva il divario in termini relativi, ossia la quota percentuale di occupati nei diversi settori rispetto alla media UE, la distanza diventa ancora più evidente nell’ICT, dove la quota europea è quasi tre volte quella italiana (2,84) e nella sanità, dove è più del doppio (2,16). Seguono l’area delle scienze commerciali e amministrazione (1,87), le scienze e ingegneria (1,36) e il settore legale e socio-culturale (1,32). Gli insegnanti restano l’unico ambito in cui l’Italia mostra un leggero vantaggio (1,03 rispetto all’Europa). Se circoscriviamo il confronto a Paesi specifici, il quadro si fa ancora più critico. Nel comparto ICT, ad esempio, Germania e Francia contano circa tre volte la quota italiana di lavoratori, la Finlandia la quintuplica, mentre la Svezia arriva ad avere sei volte la nostra quota di professionisti ICT. Anche nella sanità i divari sono ampi: la Svezia ci supera di tre volte e mezzo, la Francia del doppio e persino la Spagna di quasi tre volte.

Grafico a barre verticali multicolore con titolo "L’Italia è al di sotto della media europea in tutte le categorie di professioni intellettuali e scientifiche (fatta eccezione per gli specialisti dell’educazione)" e sottotitolo "Quota di impiegati in ciascuna categoria di professioni intellettuali e scientifiche sul totale, per Paese". Le barre confrontano la media UE (arancione) con Italia (blu scuro) e altri Paesi europei: Germania, Francia, Spagna, Finlandia e Svezia. Il grafico mostra che l’Italia è sotto la media UE in tutte le categorie (specialisti ICT, salute, scienze commerciali e amministrazione, ingegneria, giuridiche, sociali e culturali), tranne negli specialisti dell’educazione, dove si colloca in linea o leggermente sopra la media.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  • ICT e sanità sono quindi i due settori che emergono come i più problematici dal confronto con l’Europa, nonostante la loro centralità per la competitività del Paese. Se ci focalizziamo sull’ICT, colpisce un dato: la domanda espressa dalle imprese sul mercato del lavoro rimane sorprendentemente bassa e circoscritta. Prendiamo, ad esempio, il profilo del database administrator (una figura classificata come ISCO 2): le imprese più attive nella ricerca di specialisti, oltre alle agenzie per il lavoro, sono grandi player internazionali come DXC Technology, azienda ICT statunitense, Dedalus Italia, leader nello sviluppo di software per la sanità e la diagnostica, Kyndryl, ex divisione IBM, Alten, per i servizi ingegneristici e IT, Accenture Telecom Italia. Questi casi mostrano come le competenze ICT siano applicabili trasversalmente a una pluralità di settori. Tuttavia, il numero di posizioni aperte resta molto al di sotto di quello che sarebbe necessario per colmare il fabbisogno reale del Paese.

In Italia viviamo una carenza strutturale di profili altamente qualificati, le figure che più di tutte alimentano innovazione e produttività. Ma non basta limitarsi a registrare il problema. La vera sfida è chiedersi: come può il nostro Paese generare 1,6 milioni di posti di lavoro qualificati? Per rispondere, dobbiamo interrogarci sulle leve (educative, industriali, politiche e culturali) che siamo disposti ad attivare per avvicinarci a questo obiettivo, anche solo in parte. Da questa scelta dipende la possibilità di rendere l’Italia più competitiva e capace di innescare quel moltiplicatore di innovazione che oggi ancora ci manca.

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