Quali sono gli effetti dell’AI sul mercato del lavoro in Italia per i neo-laureati?

Quali sono gli effetti dell’AI sul mercato del lavoro del futuro in Italia per i neo-laureati?

Negli ultimi mesi, da Stati Uniti e Regno Unito sono arrivati segnali inquietanti: meno annunci di lavoro che richiedono una laurea, meno vantaggi salariali rispetto ai diplomati, più competizione da parte di strumenti automatizzati come ad esempio l’AI. Ma tutto questo sta accadendo anche in Italia? Per capirlo, abbiamo messo sotto la lente una figura simbolo della transizione digitale: il software engineer.

Il contesto globale: più laureati, meno certezze.

Secondo i dati della Federal Reserve di New York, riportati da The Atlantic, il tasso di disoccupazione dei neolaureati negli USA ha raggiunto il 5,8%. È il dato più alto degli ultimi anni. Dal 2010 il vantaggio salariale tra laureati e diplomati ha smesso di crescere. L’università resta un investimento valido “in media”, ma sempre meno uniforme nei risultati. Questo ha un impatto diretto sulle scelte educative delle nuove generazioni. Se i benefici sono incerti, il rischio percepito aumenta.

L’IA erode i lavori entry level. 

A luglio, The Guardian ha raccolto il grido di allarme di uno studente inglese “L’AI sta mangiando i nostri primi lavori”. I numeri lo confermano: in ambito IT, finanza e accounting, le offerte entry level sono crollate fino al -55%. Deloitte ed EY hanno ridotto i loro graduate programs rispettivamente del 18% e dell’11%. Anche le big tech si muovono nella stessa direzione: secondo una ricerca riportata da TechCrunch, le grandi aziende tecnologiche hanno ridotto del 25% le assunzioni di neolaureati rispetto all’anno precedente. Parallelamente, cresce la domanda di profili con almeno 2–5 anni di esperienza. L’AI sta assumendo molte delle mansioni tipiche dei junior, lasciando i nuovi laureati in una posizione sempre più fragile.

E in Italia? 

Per completare la rassegna stampa sul tema, segnaliamo l’editoriale di Paolo Benanti sul Sole 24 Ore (“L’alba dell’AI e il prezzo umano eccessivo”, 20 agosto 2025), che osserva come “l’era dei licenziamenti indotti dall’IA non sia più una minaccia distante, ma una realtà tangibile”. Questa nuova ondata non colpisce più le fabbriche, come nelle precedenti rivoluzioni dell’automazione, ma gli uffici ovvero spazi in cui conta il titolo di studio. Proprio per questo risulta più destabilizzante, perché mette in discussione la sicurezza di chi pensava di avere competenze intellettuali protette. Da qui la nostra domanda: sta accadendo anche in Italia? Per verificarlo abbiamo analizzato una figura simbolo della transizione digitale, il software engineer, e i dati mostrano che in soli tre anni gli annunci di lavoro su LinkedIn si sono ridotti del 72%.

Una transizione digitale che rischia di lasciare indietro i giovani. 

In passato, le aziende cercavano giovani da formare. Oggi, sembra che stiano cercando esperti oppure automatizzano. L’AI si prende le attività junior (sintesi di dati, redazione di report, programmazione di base) lasciando ai neolaureati una gara senza corsia di partenza. La distanza tra il tasso di disoccupazione dei laureati e quello generale è oggi la più ampia degli ultimi quarant’anni. Se la transizione digitale diventa un filtro anziché un trampolino, il rischio è duplice: occupazionale e sociale. Senza accesso al mondo del lavoro del futuro, i giovani non riescono a sviluppare le competenze che servono per crescere né l’indipendenza per contribuire all’economia.

L’università è il Ponte.

In questo scenario, il ruolo dell’università diventa ancora più strategico. Non possiamo limitarci a formare “profili ideali” per un mercato che cambia ogni sei mesi. Dobbiamo costruire ecosistemi formativi che offrano ai giovani strumenti per restare rilevanti, anche quando il lavoro cambia forma. Questo significa coltivare competenze solide, certo, ma anche allenare la capacità di adattarsi, pensare criticamente, lavorare con (e non contro) l’intelligenza artificiale. Spesso si dice che serva un ponte tra università e lavoro. Ma, mentre nel Paese si discute ancora di nuovi ponti (reali o metaforici) quello che davvero serve c’è già: l’università è il Ponte. E non deve inseguire il mercato: deve anticiparlo, tracciando connessioni e aprendo passaggi. Come ha ammonito giustamente la Rettrice dell’Università Cattolica Elena Beccalli al Meeting di Rimini “L’università non sia una fabbrica anonima di laureati”.

Sotto la lente una figura simbolo della transizione digitale: la richiesta di software engineer si restringe di -72% in tre anni

Dopo il boom post-Covid, diminuisce la domanda per questi professionisti. E ora servono soprattutto profili senior per governare l’AI

Grafico a barre con colori blu e arancione con titolo "Gli annunci per Software Engineer e il peso delle competenze AI nel lavoro del futuro" che analizza l'evoluzione degli annunci pubblicati su Linkedin per Software Engineer in Italia e dell'incidenza di quelli con riferimento all'intelligenza artificiale. Un confronto tra i primi cinque mesi del 2022 e lo stesso periodo 2025. La barra blu del 2022 mostra 7.893 annunci per Software Engineer; la barra blu del 2025 scende a 2.173. Una linea arancione collega due punti: 2,3% nel 2022 e 3,6% nel 2025, indicando l’aumento della quota di annunci con riferimento all’AI.

Come nel resto del mondo, anche in Italia il mercato del lavoro si restringe. In soli tre anni, gli annunci di lavoro su LinkedIn per software engineer sono crollati del 72%: 2.173 nei primi cinque mesi del 2025 rispetto ai 7.893 nello stesso periodo del 2022*. Professioni considerate strategiche – alla base delle tecnologie che usiamo ogni giorno – oggi si ritrovano al centro di un ridimensionamento.

Un ridimensionamento legato a due fattori.

  1. Il primo è congiunturale: durante il Covid la corsa alla digitalizzazione aveva fatto esplodere la domanda, generando un picco negli annunci eccezionali ed evidentemente non sostenibile nel tempo.
  2. Il secondo è invece strutturale: l’ingresso di strumenti di intelligenza artificiale nei team di sviluppo ha trasformato le modalità di lavoro. Copilot, Cursor o Lovable oggi scrivono codice, suggeriscono correzioni e risolvono bug in pochi secondi. Questo comporta, da una parte, una crescente automatizzazione di alcune attività; dall’altro, un incremento della necessità di professionisti in grado di integrare questi strumenti e governarne l’impatto.

Questa trasformazione si intravede chiaramente nell’evoluzione delle competenze richieste: nei primi cinque mesi del 2025, il 3,6% delle offerte menziona esplicitamente l’intelligenza artificiale, era solo il 2,3% nel 2022**. Parallelamente, emerge anche un orientamento chiaro rispetto all’esperienza: le aziende richiedono esplicitamente sviluppatori junior solo nel 4% dei casi, mentre per la richiesta esplicita dei senior si attesta al 18%.

In ogni caso, la domanda per queste figure rimane significativa: oltre 400 annunci al mese per software engineer confermano l’importanza della trasformazione digitale delle imprese. Tra le aziende che hanno pubblicato hanno il maggior numero di annunci nei primi cinque mesi 2025 spiccano Bending Spoons, Randstad, Capgemini, Leonardo e Tactical People.

In conclusione, la ricerca di profili tech è indubbiamente inferiore al periodo Covid, ma l’intelligenza artificiale sta cambiando rapidamente il perimetro delle competenze richieste. Secondo l’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, il 59% delle grandi aziende italiane ha già avviato progetti concreti basati sull’AI.

In questo scenario, la formazione diventa cruciale: abbiamo bisogno di profili capaci di unire le basi dello sviluppo tradizionale con nuove specializzazioni legate all’AI.

In evidenza

copertina blog - ET

Confrontiamoci sul mondo dell’istruzione e del lavoro

Ricevi i nostri aggiornamenti una volta al mese

Cosa abbiamo scritto ultimamente: