Corsi simili, destini opposti: cosa dicono i dati sull’occupazione dei laureati

Corsi simili, destini opposti: cosa dicono i dati sull’occupazione dei laureati

Quanto conta davvero la scelta del corso di laurea e dell’ateneo per trovare lavoro dopo la laurea, se le opportunità non sono le stesse per tutti?

Le STEM trainano, ma la fotografia è più sfumata di quanto sembri

Non è una novità che le lauree in Ingegneria, Informatica e in generale nei settori STEM offrano maggiori prospettive occupazionali rispetto alle discipline umanistiche e sociali: un tasso di occupazione medio sopra il 90% per Ingegneria industriale e informatica, contro poco più del 60% per Lettere, Psicologia e Giurisprudenza. Ma dietro questa fotografia si nasconde un paesaggio molto più variegato. E non solo perché i dati disponibili (Almalaurea) non coprono un laureato magistrale su due. Anche dentro lo stesso gruppo disciplinare, i divari tra un corso e l’altro, tra un ateneo e l’altro, sono talvolta abissali.

Corsi simili, destini opposti

Prendiamo il caso delle lauree in ambito linguistico: tra il corso di laurea con il tasso di occupazione più alto e quello con il più basso ci sono quasi 67 punti percentuali di distanza. Due studenti, laureati nello stesso gruppo disciplinare, prospettive completamente diverse. E lo stesso succede per Lettere, Psicologia, Scienze Politiche, Arte e Design, con scarti superiori ai 50 punti percentuali. La variabile geografica incide in modo rilevante: tra i 19 atenei con i tassi di occupazione più bassi, 16 si trovano al Sud e nelle Isole. Ma il Mezzogiorno, va detto, non è affatto fuori gioco: alcuni atenei svettano in cima alle classifiche con tassi di occupazione vicini o pari al 100%.

Il nodo delle disuguaglianze (nascoste) tra i laureati

Dire ai giovani “scegli una laurea spendibile” non basta più. I dati ci raccontano che, a parità di impegno e motivazione, la scelta dell’ateneo può determinare traiettorie professionali molto diverse. Il contesto conta: incide la rete territoriale, il tessuto produttivo, le connessioni tra università e imprese. Questo genera un meccanismo che riproduce (e talvolta amplifica) le disuguaglianze sociali e territoriali. Non basta quindi una buona laurea, se il contesto non permette a quella laurea di tradursi in un’opportunità concreta.

Le medie ingannano

Dietro le medie ci sono corsi che funzionano molto bene, anche in settori tradizionalmente considerati “deboli”. Alcuni corsi di Psicologia, Design o Scienze della comunicazione, inseriti in atenei ben connessi al mercato del lavoro, registrano tassi di occupazione superiori all’80%. Allo stesso modo, esistono corsi in ambito ICT che faticano a collocare i laureati (attorno al 60% di tasso di occupazione). Serve, insomma, una nuova trasparenza per rendere accessibili i dati giusti (ed in modo chiaro) a chi deve scegliere. Perché non è vero che “con Ingegneria si lavora sempre” né che “con Lettere non si lavora mai”.

Colmare i vuoti con l’orientamento e creare nuovi posti di lavoro qualificati 

Anche chi sceglie bene, può trovarsi davanti a un muro. Perché in Italia, semplicemente, non ci sono abbastanza posti di lavoro qualificati. Ne abbiamo parlato nella nostra newsletter Talent For Company di questo mese: in Italia mancano all’appello 1,6 milioni di lavoratori qualificati nei ruoli strategici (su tutti: ingegneri, esperti ICT, manager, professionisti sanitari). L’orientamento può certamente aiutare a ridurre il mismatch tra domanda e offerta di competenze, ma da solo non basta. Dobbiamo costruire le condizioni affinché il sistema produttivo italiano si allarghi, creando nuovi posti di lavoro specializzati.

Questo significa, tra le varie leve: (i) innovare le imprese esistenti, investendo in ricerca e sviluppo; (ii) attrarre imprese internazionali che portino con sé opportunità occupazionali qualificate; (iii) sostenere in modo concreto la nascita di nuove imprese da parte dei laureati, che oggi restano una minoranza: solo 2 su 100 fondano un’impresa dopo il percorso universitario, un potenziale enorme che rischia di andare perso. E infine, significa (iv) valorizzare veramente gli spin-off universitari, per tradurre conoscenza in posti di lavoro, innovazione in occupazione.

Per colmare quel vuoto di 1,6 milioni di professionisti serve ambizione e coraggio per aprire una nuova stagione. L’Italia può smettere di essere (sub)fornitrice del mondo e diventarne committente, grazie alle competenze dei suoi laureati e alle imprese che saprà far nascere e crescere attorno a quel talento. È qui che si gioca la vera sfida del Paese.

La nota dell’Osservatorio Talents Venture

Scegliere l’università giusta fa (ancora) la differenza?” è la nostra ultima nota basata sull’analisi dei più recenti dati di AlmaLaurea, che conferma una tendenza nota: in media, le discipline scientifiche offrono maggiori prospettive di impiego rispetto a quelle umanistiche e sociali.

I gruppi di Ingegneria Industriale, Informatica e Tecnologie ICT e Medicina guidano la classifica, con tassi di occupazione medi intorno al 90%.

Il dato di per sé non sorprende. Ciò che rileva in misura maggiore sono le differenze a livello di singolo ateneo. In alcuni casi, il divario tra i tassi di occupazione all’interno di uno stesso ambito è enorme: nel gruppo Linguistico, lo scarto tra l’ateneo con il maggiore e il minore tasso di occupazione è di quasi 67 punti percentuali. A parità di disciplina, quindi, non è solo l’ateneo che fa la differenza, ma anche lo specifico corso o classe di laurea scelto.

E infine, a contare non è solo cosa si studia, ma anche dove.

In questa analisi ci siamo concentrati sull’ateneo, ma lo stesso ragionamento varrebbe se osservassimo le diverse classi e i singoli corsi di laurea.

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