I laureati in statistica sono pochi

By: Angelo Rossi0 comments

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Alcuni dati sui laureati in statistica

Nel 2020 tra i 20 professionisti più ricercati c’erano gli addetti ai servizi statistici, finanziari e assicurativi. Peccato però che i laureati in statistica siano meno dello 0,5% di tutti laureati di ogni anno da 10 anni a questa parte.

Chi si occupa delle tematiche relative all’istruzione universitaria almeno una volta al giorno sente o legge del problema relativo allo skills gap o mismatch delle competenze: due inglesismi per indicare che le aziende non riescono ad alimentare i loro percorsi di crescita poiché non trovano sul mercato del lavoro i profili con le competenze di cui hanno bisogno.

Gli esempi sono tanti, ma ora vorremmo parlarvi di quello relativo ai laureati in statistica e ai professionisti ricercati nell’ambito dei big data. I dati interessanti sono quattro.

Il primo riguarda le richieste del mercato del lavoro e la domanda di questi profili. Secondo la banca dati WollyBI – Burning Glass Europe nel 2020 sono stati aperti circa 17 mila annunci per ricercare addetti ai servizi statistici, finanziari e assicurativi.

Il secondo dato è attinente all’offerta di queste competenze. Nel 2019, sono stati meno di 1.600 i laureati in statistica. Questo corrisponde a meno dello 0,5% di tutti i laureati nell’anno e circa a 11 volte in meno il numero di annunci.

Il dato diventa ancora più preoccupante, se si considerano solamente i laureati magistrali, in teoria quelli maggiormente pronti ad entrare nel mercato del lavoro. Questi sono solamente 900 i laureati in statistica. Molti meno dei 6.600 laureati magistrali in psicologia, 3100 in filologia moderna o 2200 in Lingue moderne per la comunicazione e la cooperazione internazionale.

L’ultimo numero riguarda l’offerta dei corsi di laurea. Tra i quasi 2.500 corsi che possono essere scelti da un neodiplomato solamente 19 sono quelli di statistica. Mentre ci sono oltre 130 corsi di economia aziendale, 60 di scienze della comunicazione o 45 di scienze delle attività motorie e sportive.

Come migliorare i numeri sui laureati in statistica

La parola chiave per rispondere allo skills gap è una soltanto: orientamento. I destinatari di queste iniziative di orientamento devono essere tre interlocutori: gli studenti, le università e le aziende.

Il livello di cui sentiamo parlare più spesso è quello degli studenti (scopri le nostre soluzioni di orientamento qui). Sappiamo che è necessario guidarli ad una scelta consapevole di un corso di laurea che tenga conto sia delle attitudini di ciascuno sia delle prospettive del mercato del lavoro. Se è vero che in media facoltà come statistica hanno un tasso di occupazione più alto di lauree come psicologia o lettere, è altrettanto vero che ci sono, all’interno di queste ultime macro-facoltà delle eccellenze per cui le possibilità di occupazione dopo la laurea si avvicinano a quelle di un laureato in statistica. Bisogna lavorare quindi su due fronti: avvicinare i neodiplomati alle lauree più richieste nel mercato del lavoro e orientare al meglio chi è indirizzato verso le cosiddette lauree deboli

Questo però non basta, molto lavoro deve essere svolto anche tra le università e le aziende.

Si devono realizzare attività di orientamento anche all’interno delle stesse università. Sia in termini di revisione dell’offerta formativa (a cosa servono 130 corsi di laurea triennale in economia aziendale quasi tutti uguali tra di loro?) sia di insegnamenti (è possibile che il programma di alcuni corsi di laurea sia uguale a quelli di 10 anni fa?).

L’offerta formativa deve essere aggiornata ma ci sono almeno due grandi ostacoli: il primo riguarda la mancanza di docenti con le competenze necessarie per potersi occupare dell’insegnamento di corsi di laurea innovativi e il secondo è relativo alle difficoltà burocratiche per l’introduzione di corsi di laurea multidisciplinari.

Come ultimo interlocutore delle attività di orientamento, dobbiamo parlare delle imprese. Bisogna far presente ai datori di lavoro i cambiamenti in atto nel mercato del lavoro. Fatta eccezione delle grandi realtà, il tessuto imprenditoriale ignora le nuove professioni ed il relativo impatto che potrebbero avere nel contesto aziendale. In assenza di questa consapevolezza le aziende rischiano di diventare sempre meno competitive nella filiera del valore globale.

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