ITS, università e Next Generation EU

By: Angelo Rossi0 comments

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Cos’è un ITS?

Per chi si occupa di istruzione gli ITS sono sicuramente un tema molto caldo. L’acronimo ITS è utilizzato per indicare gli Istituti Tecnici Superiori. Molto spesso però, lo disse anche Draghi nel suo discorso di insediamento al Senato, vengono confusi gli ITIS, istituti tecnici industriali statali.

A differenza degli ITIS, scuole superiori, gli ITS, da intraprendere a seguito del diploma, costituiscono il segmento di formazione terziaria non universitaria che risponde alla domanda di competenze tecniche e tecnologiche delle imprese.

Due ragioni per scegliere un ITS

Ad oggi questi corsi stanno destando molta attenzione per due ragioni.

La prima riguarda la strategia fondata sulla connessione delle politiche d’istruzione con le politiche industriali. Il 30% della durata dei corsi è svolto in azienda e il corpo docente proviene quasi interamente dal mondo del lavoro, così da stabilire subito un legame molto forte con il mondo produttivo.

La seconda motivazione riguarda i tassi di occupazione, molto elevati proprio grazie alla collaborazione tra gli istituti e le aziende. Secondo il monitoraggio di Indire, a 12 mesi dal conseguimento del titolo, l’83% dei 2.920 diplomati è occupato. Questo dato può essere confrontato con il tasso di occupazione per i circa 55mila laureati intervistati da Almalaurea. Ad un anno dalla laurea, gli occupati sono in media del 75%, ma il tasso di occupazione oscilla tra il 91% del gruppo ingegneristico e il 46% del gruppo psicologico.

Due paradossi tra il mondo universitario e quello ITS

Il modello degli ITS è molto interessante, ma dalla lettura attenta dei dati emergono due paradossi che varrebbe la pena analizzare.

Il primo riguarda il target di riferimento. Ad oggi ci sono circa 18 mila iscritti in 109 Fondazioni ITS, mentre 92 università accolgono oltre 1 milione 700 mila iscritti. Il paradosso è che, secondo l’ultimo report di Anvur, negli ultimi anni l’aumento del tasso di passaggio dalla scuola superiore all’università è stato dovuto principalmente alla maggior propensione a iscriversi all’università, forse anche grazie all’istituzione delle lauree professionalizzanti, da parte dei diplomati con maturità tecnica o professionale. Coloro che oggi si cerca invece di attrarre verso gli ITS. Al contrario, la quota di studenti liceali, target degli atenei, che ha deciso di iscriversi all’università si è ridotta in modo costante.

Il secondo paradosso riguarda le risorse, ad oggi solo delle stime, stanziate dal Next Generation EU o Recovery Plan. Agli ITS sembrerebbero destinati 1 miliardo e mezzo di risorse. Per le università il dato è meno chiaro ma, secondo una stima di Roars, la cifra si aggira attorno ai 9 miliardi. Se si ipotizzasse che queste risorse siano destinate, direttamente o indirettamente ad ogni iscritto, ogni frequentante all’ITS riceverebbe circa 80 mila euro un ammontare 15 volte superiore rispetto ai 5 mila euro ricevuti ipoteticamente da ogni iscritto all’università. Ovviamente la semplificazione lascia il tempo che trova (si ragiona su scale diversi e su modelli diversi) ma è appunto un paradosso che ci è utile per giungere alla conclusione.

Il punto di attenzione non riguarda le importanti risorse messe a disposizione degli ITS, ma le contenute risorse che verrebbero stanziate per l’università.

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